Ultimatum di 24 h alle truppe di Kiev dai filorussi

Le forze di autodifesa filorusse del Donbass hanno dato a mezzanotte un ultimatum di 24 ore per il ritiro dell’esercito ucraino dall’autoproclamata repubblica di Donetsk.

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Lo ha annunciato a Ria Novosti Serghiei Zdriliuk, vice comandante delle milizie del Donbass, minacciando altrimenti l’attacco dei checkpoint in mano alle truppe di Kiev.

Se i veicoli corazzati non saranno ritirati e i blocchi stradali delle cosiddette autorita’ non saranno rimossi, avro’ sufficiente potere e mezzi, per distruggere e bruciare qualsiasi cosa. Gruppi di ricognizione e di sabotaggio sono pronti a muoversi e alcuni sono già in posizione”, ha detto Zdriliuk.

La Guardia nazionale ha confermato il sequestro a Donetsk del colonnello Iuri Lebed, comandante delle truppe del dipartimento operativo territoriale dell’Ucraina orientale e di otto reparti della stessa Guardia Nazionale.

Lebed sarebbe stato costretto a salire su un’auto da miliziani armati mentre stava tornando a casa nella notte di lunedì. Prima il colonnello comandava un reggimento delle forze speciali ‘Tigre’ del ministero dell’Interno in Crimea e si sarebbe rifiutato di passare alle forze armate russe dopo l’annessione della penisola a Mosca.

Parte tavolo dialogo, ma soluzione lontana

Parigi e Berlino insistono su elezioni il 25 maggio

A Kiev si inizia a dialogare per cercare di risolvere la crisi politica nell’Ucraina dell’est, teatro ormai da un mese di aspri combattimenti tra i separatisti filorussi e le truppe fedeli a Kiev. Sono però piuttosto flebili le speranze di pace che arrivano dalla tavola rotonda di unità nazionale inaugurata questo pomeriggio nella capitale ucraina. All’incontro hanno infatti partecipato ministri, leader politici, imprenditori e governatori regionali, ma non è stato invitato nessun rappresentante di una delle due parti in lotta, quella dei separatisti filorussi, e questo è per molti osservatori un grave ostacolo all’efficacia delle trattative. Il vertice di Kiev arriva in un momento molto delicato della storia ucraina.

Le presidenziali anticipate fissate per il 25 maggio sono minacciate dalle violenze quotidiane nelle regioni del sud-est e la partecipazione al voto potrebbe essere ulteriormente ridotta dai controversi referendum separatisti di domenica scorsa, che secondo i filorussi che li hanno organizzati avrebbero sancito la sovranità delle “Repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk con un vero e proprio plebiscito. Ma Kiev non può assolutamente fallire la “missione presidenziali”. Il voto del 25 maggio serve infatti anche a legittimare la nuova guida politica del Paese e quindi la rivolta di Maidan che ha fatto cadere il ‘regime’ di Viktor Ianukovich. Il mediatore Osce della tavola rotonda, Wolfgang Ischinger, lo sa bene, e per questo ha sottolineato che l’obiettivo primario del tavolo di unità nazionale è garantire che le presidenziali siano “inclusive, oneste e trasparenti”. Ma mentre l’Occidente continua a sostenere le elezioni (che il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier da Parigi ha definito “la cruna dell’ago da cui dobbiamo ad ogni costo passare” per “una evoluzione più democratica” nel Paese), la Russia continua a nutrire dubbi sulla legittimità del voto.

Da Mosca è però arrivata anche una timida apertura: pur dichiarando che i referendum separatisti di Donetsk e Lugansk hanno dato “risultati convincenti” e che la legittimità delle presidenziali ucraine “non è completa”, il presidente della Duma russa, Serghiei Narishkin, ha anche affermato che “non svolgere le elezioni sarebbe persino più triste” e che “quindi è necessario scegliere il minore dei due mali”.

Da est però continuano ad arrivare soprattutto parole dure contro il governo ucraino, e il ministro degli Esteri di Mosca, Serghiei Lavrov, ha detto senza mezzi termini che l’Ucraina “si avvicina alla guerra civile come mai prima” e ha soprattutto ribadito che “perché il dialogo nazionale abbia successo” devono essere invitati anche i rappresentanti degli insorti pro-Mosca. Ma il governo ucraino – che oggi ha stimato in qualcosa come 62 miliardi di euro i danni subiti per l’annessione della Crimea alla Russia – la pensa in tutt’altro modo: le autorità di Kiev – ha tuonato il presidente ad interim Oleksandr Turcinov – sono “pronte al dialogo con le regioni” dell’est e anche “a cambiamenti nel sistema di governo” che portino a un maggiore decentramento del potere, “ma non permetteranno” ai separatisti “che impongono la volontà” di Mosca “di terrorizzare e ricattare l’Ucraina”.

Ma alla tavola rotonda c’è anche chi la pensa come il Cremlino: Oleksandr Iefremov, il capogruppo del partito delle Regioni del deposto Ianukovich, ha risposto alle parole di Turcinov chiedendo di fermare l’operazione militare in atto a est che ha fatto “dei morti tra i civili pacifici”. L’incontro si è insomma rivelato un muro contro muro.

Un altro tentativo sarà fatto alla prossima seduta del tavolo di dialogo nazionale che secondo il primo presidente ucraino, Leonid Kravchuk, potrebbe essere organizzata sabato prossimo “o al più tardi” lunedì proprio a Donetsk, capoluogo di una delle due regioni “separatiste”. Una soluzione alla sanguinosa crisi ucraina sembra però ancora lontana, e l’economia di Ucraina e Russia ne risente: secondo la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) quest’anno il Pil di Kiev segnerà una contrazione del 7%, ma la crisi peserà anche su Mosca, “spingendo la Russia in recessione”.

 

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