Se in Sicilia il sistema della formazione non funziona è meglio chiudere e riformarlo.
Ma il nostro ultimo rivoluzionario governatore Crocetta si è fermato a fare lo sceriffo, con le sue denunce per poi non proseguire con decisione sul piano delle riforme e tornando alle pratiche politiche degli ultimi 40 anni, mantenendo un carrozzone a proprio uso e consumo, quindi sostituendosi ai suoi predecessori.
Tutti i medici pietosi finiscono col far morire il paziente, continuando a dare cure palliative (placebo) a un paziente che è in cancrena e necessita di interventi chirurgici drastici: amputare una gamba può salvare il paziente, non farlo può solo portare alla morte dello stesso.
Arresti, malaffare e ruberie nel sistema formativo, che sono venuti alla luce negli ultimi tempi ci portano ad avere la sensazione di essere entrati in un tunnel buio e infinito. Da settimane e settimane si assiste ad un giro di denunce e sospetti. Nessun angolo è risparmiato da sporcizie e marciume.
Intermediazioni illecite su pubblicità e comunicazione, gestione sciagurata della sanità, dirigenti iper pagati e improduttivi, assunzioni irregolari di personale, sregolatezze grandi e piccole nei musei, persone in carcere per mafia stipendiate perché «figuranti» in servizio…
Possiamo definire la Sicilia come la «Regione degli scandali». Eravamo ottimisti. Si è sempre più allo scandalo della Regione: una istituzione logora, dove partiti e gruppi inseguono il voto degli elettori nel vuoto di ogni valore. Vediamo troppo bene muoversi dietro le quinte di un palcoscenico ombroso, gruppi di interesse, comitive di malaffare e cosche mafiose dominare il gioco.
C’è un governo (Crocetta) che vuol rompere i giochi del passato e non si risparmia nella strategia della denuncia. Ma la sola denuncia non basta bisogna passare a riforme forti, nei meccanismi di spesa e nei sistemi di controllo, per anticipare la magistratura e avviare mutamenti sempre più necessari. Vediamo invece la denuncia appesa ai ganci di una politica priva di spinte. Che si appiattisce del tutto e appiattisce tutto in una sinfonia noiosa di parole e proclami.
Questa sinfonia, infatti, si risolve nel rifiuto delle riforme o peggio, nell’insignificanza delle mezze misure. Di tutto ciò il sistema della Formazione professionale è l’emblema. Riforme, si dice. Se ne parla. Si progettano.
Ma vogliamo o no gridare che il re è nudo?
Per finanziare il sistema noi contribuenti dell’Isola spendiamo mediamente 300 milioni l’anno. Si dovrebbero formare operatori per tanti mestieri. Ma nessun risultato è stato raggiunto.
Negli ultimi dieci anni. nell’Isola l’occupazione si è costantemente ridotta, (abbiamo perso 100 mila posti solo negli ultimi cinque anni). Abbiamo sprecato 3 miliardi.
Gli unici occupati creati sono i 10 mila tra impiegati e formatori. Il costo medio di un operaio metalmeccanico in una impresa privata va dai 30 ai 35 mila euro l’anno. Se dunque questi 300 milioni fossero stati affidati a gestioni private, si sarebbero potuti realizzare 100 mila nuovi occupati, 10 volte di più.
C’è poi l’equilibrio assurdo tra corsi di formazione e domanda del mercato del lavoro. Da anni qualificati imprenditori, artigiani e commercianti denunciano l’inadeguatezza tra ciò che serve alle imprese dell’Isola e ciò che il sistema di formazione produce. È ricorrente la battuta: «Si formano parrucchieri ma servono tornitori». Infine oggi l’assurdità del sistema è nella sproporzione tra offerta e domanda. Frequentano i corsi, infatti, da 30 a 40 mila persone ogni anno.
Considerando per ipotesi che il sistema riuscisse a formare una massa così elevata e qualificata di operai, artigiani e operatori di vario genere, non c’è un sistema economico in grado di assorbirli. Le nostre aziende sono costrette a licenziare ogni giorno. Come possono assumere le decine di migliaia di persone formate dal sistema?
E allora? Se questo sistema è inutile e costoso bisogna chiuderlo. Proprio così, chiuderlo utilizzando virtuosamente meccanismi e sistemi che funzionano in Italia e all’estero, a cominciare dall’apprendistato dentro le imprese.
Si potrebbe obiettare: che fare dei diecimila lavoratori in carica? Travolgerli con una operazione di macelleria sociale? La risposta è semplice: passiamo dalla finzione del lavoro all’assistenza.
Viene mantenuto loro un reddito, appena ridotto come avviene con l’attuale sistema di cassa integrazione. E si lascia questo personale disponibile per lavori comparabili a quelli che svolgevano, impegnandolo, quando possibile, in spazi pubblici e privati. Si raggiungerebbero così due risultati reali:
Uno economico. Perché si risparmierebbe su locali, utenze elettriche e telefoniche, costo del materiale da ufficio, affitti e via dicendo.
L’altro politico e sociale. Non si diffonderebbe l’illusione facile che il lavoro si trova con attestati inutili. Si indurrebbero tantissimi giovani a misurarsi con i mestieri che servono.
Vorremmo che questo modo di soluzione fosse praticato in generale, come principio di etica pubblica. Quando una struttura finanziata dai contribuenti manca i risultati programmati, rivelandosi inutile, non si distruggano risorse tenendola in vita ma la si chiude.
Sarebbe proprio questa riforma la migliore offerta ad un’opinione pubblica che vuole svolte radicali, trasparenza, moralità ed eliminazione degli sprechi. E che, non trovando tutto questo, volta le spalle alle urne democratiche e alla politica.
Perché non si procede? Che cosa si aspetta? Si può dire per la formazione professionale, quel che un tempo si diceva per le dighe: «Hanno dato più da mangiare che da bere» con riferimento a connesse «manciuglie» di ogni tipo, per usare un termine caro al presidente Rosario Crocetta.
Analogamente per la formazione professionale possiamo dire che siamo ad un sistema che in molti punti fa acqua, ma che ha dato pane e carne a pochi beneficiari.
Solo che, continuando così, saremo tutti alla frutta.
Ma il nostro ultimo rivoluzionario governatore Crocetta si è fermato a fare lo sceriffo, con le sue denunce per poi non proseguire con decisione sul piano delle riforme e tornando alle pratiche politiche degli ultimi 40 anni, nel mantenere un carrozzone a proprio uso e consumo, quindi sostituendosi ai suoi predecessori.
Tutti i medici pietosi finiscono col far morire il paziente, continuando a dare cure palliative (placebo) a un paziente che è in cancrena e necessita di interventi chirurgici drastici: amputare una gamba può salvare il paziente, non farlo può solo portare alla morte dello stesso.