Renzi azzera PD romano, Orfini commissario politico

renzi-marino

Renzi usa il pugno duro sul partito capitolino, dopo il ciclone scatenato dall’inchiesta Mondo di mezzo della procura capitolina, che ha portato all’arresto di 37 persone e l’iscrizione nel registro degli indagati di circa 100 persone.

E tra questi figurano anche nomi altisonanti dell’universo dem della Città eterna, come quello del presidente dell’Assemblea capitolina, Mirko Coratti, del consigliere regionale e presidente della commissione Cultura della Pisana, Eugenio Patané, e soprattutto dell’assessore alle Politiche abitative e del Lavoro del Comune di Roma, Daniele Ozzimo.

I ‘CAPIBASTONE’ DEL PD NEL MIRINO DEI PM. In gergo politico (volgare) si chiamerebbero “capibastone”, ovvero quelli che sul territorio muovono voti. Spostano l’ago della bilancia. Persone molto conosciute dalla popolazione, che grazie alla stima conquistata sul campo sono riuscite ad arrivare in posizioni politiche di rilievo.

E proprio per questo motivo, se la magistratura dovesse confermare le tesi degli inquirenti, sarebbe una catastrofe per il Pd.

L’inchiesta è un’occasione per ‘cambiare verso’ alla Capitale

Non per tutti ovviamente. Perché c’è anche una parte di democratici che vede nell’inchiesta del procuratore generale, Giuseppe Pignatone, l’occasione per ‘cambiare verso’ anche alla Capitale.

Di vicenda «agghiacciante per il sistema criminale che emerge e le responsabilità della politica» ha parlato il presidente dell’assemblea nazionale dem, e neo commissario, Orfini, tuonando: «Emerge a Roma un partito da rifondare e ricostruire su basi nuove», invitando a una «riflessione di sistema» sulle primarie e le preferenze che «rendono la selezione dei dirigenti più permeabile».

Da un Matteo all’altro, Renzi della vicenda si è fatto un’idea ben precisa.

E già nella mattinata di mercoledì 3 dicembre, racconta un deputato addentro alle faccende capitoline, avrebbe voluto «sparare a palle infuocate contro tutti quelli del Pd Roma», ma a bloccare il segretario nazionale pare ci abbia pensato proprio Orfini, per evitare di aprire un conflitto tra minoranza e maggioranza.

IL PREMIER OTTIENE LE DIMISSIONI DI COSENTINO. Il leader ha spinto e ottenuto le dimissioni del segretario della federazione romana, Lionello Cosentino, sul quale pende un’intercettazione inquietante, allegata al fascicolo dell’inchiesta sulla Mafia Capitale, in cui l’imprenditore arrestato, Salvatore Buzzi, rivela al presunto capo della cupola, Massimo Carminati di aver smistato «140 voti a Giuntella», Tommaso Michea, poi diventato presidente del Pd Roma, «e 80 a Cosentino» durante le primarie del novembre 2013. Specificando «Cosentino è proprio amico».

L’ascesa di Micaela Campana, dal Municipio V a Montecitorio

Eppure Cosentino – che non è indagato – aveva cercato di smarcarsi dal pressing, convocando di fretta e furia, un’assemblea degli iscritti e dei simpatizzanti per sabato 6 dicembre, presso il Centro congressi Frentani, con un titolo emblematico: «Contro le mafie e la corruzione».

Ancora non si sa se l’appuntamento sarà confermato dal nuovo commissario Orfini, ma di sicuro non vi avrebbe preso parte il deputato, ed ex capogruppo in Consiglio comunale, Umberto Marroni, finito al centro di un dialogo tra Buzzi e l’ex direttore generale di Ama, Giovanni Fiascon, preoccupato per la possibile sostituzione.

«Se vince MARINO,  UMBERTO conterà un cavolo». L’imprenditore arrestato dice all’interlocutore: «Co’ Umberto ce posso parlà io, però ormai Umberto colle cose del Comune non c’entrerà più niente, eh! Comunque vada… cioè, se vince Marino, Umberto conterà un cavolo».

Spiegando meglio il concetto in un’altra intercettazione: «Se vince il centrosinistra siamo rovinati, solo se vince Marroni andiamo bene. Noi oggi alle cinque lanciamo Marroni alle primarie per sindaco».

A onor del vero, però, Marroni non ha mai avanzato la sua candidatura, e alle primarie vinte poi da Marino, parteciparono invece David Sassoli, l’attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e Patrizia Prestipino.

C’è poi un’altra ombra sul Pd su cui Renzi dovrà fare presto chiarezza. E si tratta dei rapporti tra l’attuale responsabile Welfare della segreteria nazionale, Micaela Campana, e Salvatore Buzzi. La deputata è finita nel fascicolo delle intercettazione per un sms dai toni molto amichevoli, inviato all’imprenditore: «…bacio grande Capo».

Nonostante abbia solo 38 anni, Campana (ex moglie di Daniele Ozzimo) è riuscita a scalare posizioni in pochissimi anni: dal consiglio del Municipio V (oggi IV), dove ha ricoperto le cariche di capogruppo dei Ds prima e dell’Ulivo poi, all’assessorato municipale all’Ambiente, Personale, Attività produttive e Pari opportunità, fino allo scranno di Montecitorio.

E anche nel partito romano la giovane politica di origini pugliesi, ha avuto una carriera fulminante: responsabile Organizzazione dei Ds, e poi del Pd, fino al 2012, e responsabile della Festa dell’Unità di Roma.

Il terremoto rafforza la posizione di Ignazio Marino che, grazie al lavoro degli inquirenti che hanno messo in luce l’estraneità del primo cittadino dal presunto sistema criminale, che anzi lo vedeva come un ostacolo.

Il ‘Marziano’ (così viene chiamato Marino, proprio per il suo modo di fare molto autonomo) deve però contrastare un altro attacco, questa volta del Movimento 5 stelle, che ha chiesto al prefetto di Roma di sciogliere il Comune per infiltrazioni mafiose.

IL M5S CHIEDE DI SCIOGLIERE IL COMUNE. La reazione è stata molto dura tra i sostenitori del sindaco, e in particolar modo quella di Marco Miccoli, deputato nonché ex segretario del Pd Roma, che in un post su Facebook ha stigmatizzato: «Di Battista e il M5s vogliono sciogliere il Consiglio comunale per mafia e mandare a casa Marino. Cioè vogliono la stessa cosa che vorrebbe la mafia di Roma».

In realtà questo sarebbe stato il sogno anche di un pezzo di Pd locale, che solo a fine novembre chiedeva l’azzeramento della giunta o le dimissioni dell’inquilino del Campidoglio, all’indomani della vicenda delle multe alla Panda rossa non pagate e della rivolta di Tor Sapienza.

Ci sono legami tra cuola e le proteste di TOR SAPIENZA?

Proprio questo episodio, oggi, assume una luce diversa dopo le rivelazioni dell’inchiesta. Da ricostruzioni giornalistiche di varie testate, infatti, dietro le proteste nel quartiere a Est di Roma contro i rifugiati e immigrati del locale Centro d’accoglienza, c’erano anche esponenti dei gruppi dell’estrema destra romana, mentre dalle carte dell’inchiesta emerge che il business più redditizio era proprio quello su immigrati e rom.

Nonostante i punti di contatto, va comunque sottolineato che al momento non è stata riscontrata alcuna correlazione tra i fatti di novembre e il presunto sistema criminale. Anche se nel Pd, ora sono in molti a ricordare il vecchio adagio andreottiano: «A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina».

Lascia un commento