PD: il partito mai nato … anzi no … nato morto.

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L’ambizioso sogno del partito mai nato, finisce con le vicende che hanno segnato la mancata elezione di Romano Prodi a Presidente della Repubblica e il conseguente tramonto dell’era Bersani.

Il PD al momento della sua nascita, voleva essere l’unica vera forza progressista del Paese, ma in realtà, si è rivelato un fragile e fin troppo sintetico compromesso del pensiero democristiano e della tradizione comunista italiana. Un partito che,  passato al microscopio, svela le profonde e mai risolte contraddizioni, divisioni e incongruenze.

Che il PD non era mai nato e se nasceva, sarebbe nato morto, lo avevamo già scritto alla vigilia della sua nascita, quando invece di aprire un grande dibattito in tutto il Paese, aperto a tutte le parti sociali, si è chiuso in sé stesso perdendo la grande occasione di dare una svolta al partito, al Paese e a tutta quell’area di  sinistra nel cuore e meno ideologizzata. Invece niente. Il grande dibattito inclusivo non c’è stato, anzi Veltroni, con molta presunzione e molta prosopopea alle elezioni che venivano di li a poco ha dato una mano ancora una volta a Berlusconi, escludendo dal passaggio elettorale tutte le sinistre, relegandole alla scomparsa e alla sua sconfitta personale e di quel partito mai nato.

Bersani, leader di plastica, di un partito di plastica, messo lì in funzione di portavoce poco credibile e dal carisma inconsistente, ha perso una guerra già vinta per accontentare la casta e privilegiare le scelte di Napolitano & C.

In campagna elettorale non ha saputo o voluto capire che ogni volta che parlava di Monti perdeva voti ad ogni passaggio televisivo, a vantaggio di  un Grillo, senza progetto politico chiaro, ma utile per parcheggiare i tanti voti, che quell’aria di sinistra nell’anima e valoriale, non era più disposta a turarsi il naso per il bene del Paese. Non è stato bravo Berlusconi (già morto politicamente) a fare quello che tutti chiamano recupero portentoso) ma Asino Bersani, che aveva come unico obiettivo di rimettere in sella Monti, per continuare quell’opera di risanamento/sfascio del Paese, che ridotto in macerie difficilmente si risolleverà.

Le ultime elezioni hanno dimostrato che il popolo va da una parte e i partiti politici da un’altra. Ma non ci distraiamo. Il nostro soggetto di oggi è il PD e andiamo alla data fatidica del “ PD 19 aprile 2013: il venerdì nero del Partito Democratico. Centouno franchi tiratori affossano la candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. L’ambizioso sogno di un partito immaginato per chiudere definitivamente l’eterna transizione italiana iniziata con il crollo della prima Repubblica si infrange nel peggiore dei modi.

Contraddizioni e ambiguità di un progetto partorito per far convivere all’interno di un unico grande contenitore, radicalismo e moderatismo, riformismo e conservatorismo, ex democristiani ed ex comunisti, ex liberali ed ex socialisti, emergono in uno dei frangenti più drammatici della storia repubblicana.

Più che prevedibile epilogo di un cartello elettorale composto da varie anime, che a sei anni dalla sua fondazione si è dimostrato privo di un disegno unitario e di un’identità certa e definita.

Un partito, il Pd, che dopo aver archiviato l’era delle “vittoriose sconfitte” tenta, tra mille difficoltà, di ricucire lo strappo con quella parte di elettorato sfiduciata dalle incongruenze di una sinistra senza più anima e senza più prospettive.

Non siamo certo noi a poter dare suggerimenti o consigli alla dirigenza politica di questo Paese; non siamo né deputati a farlo né ce lo hanno chiesto; sono abbastanza adulti e vaccinati. Noi siamo da un’altra parte, a questo punto non siamo né di dx, né di sx, e nemmeno di centro … ci sentiamo semplicemente di sotto ma di lato.

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