Il cambiamento che non sanno realizzare i governanti lo realizza il popolo, sostituendo in blocco la classe dirigente. E tuttavia c’è qualche obiezione.
Nella Francia del Settecento la scontentezza del Terzo Stato era più che comprensibile ma altrettanto chiara era la soluzione da adottare. La meta era indicata in teoria dall’Illuminismo e in pratica dall’Inghilterra.
Per questo furono tanto importanti le “Lettres Anglaises” di Voltaire: egli rappresentò ai francesi una società che essi videro come desiderabile, al punto da volerla anche loro. La Rivoluzione non fu un salto nel buio: prova ne sia che all’inizio fu monarchica e moderata. Si voleva soltanto lo schema inglese in salsa illuministica, non la repubblica: e se si arrivò agli eccessi demenziali del Terrore è anche perché quella stessa Rivoluzione fu sentita in pericolo.
Qualcosa di analogo, anche se con esiti tragici, si ebbe con la Rivoluzione russa. Lenin e gli altri avevano idee chiarissime sullo schema politico ed economico da attuare, del tutto diversi da quelli adottati dalla Russia zarista.
La situazione attuale in Italia invece deve essere rappresentata in modo diverso. Immaginiamo un ospedale in cui, rispetto alle media di altri ospedali, ci siano troppi morti in seguito alle operazioni chirurgiche. È comprensibile che qualcuno pensi di sostituire in blocco l’équipe dei chirurghi ma non è detto che sia la soluzione giusta. L’anormale numero di decessi potrebbe dipendere dall’insufficiente igiene, di cui sono responsabili gli infermieri. Da una strumentazione insufficiente od obsoleta. Dalla mancanza di strumenti costosi che gli altri ospedali hanno e quello in oggetto no. In particolare per quanto riguarda i chirurghi bisognerebbe vedere se essi siano ignoranti e applichino protocolli antiquati o erronei, o se al contrario essi non siano molto capaci e in sala operatoria abbiano fatto miracoli, viste le condizioni particolarmente disagiate.
È questa la differenza rispetto ad una rivoluzione come quella russa: lì si voleva cambiare tutto, in Italia non si mette in discussione né la democrazia, né l’economia di mercato, né la struttura della nazione, ma la sua dirigenza soltanto: i chirurghi giudicati da tutti con la massima severità. E proprio ciò è altamente discutibile. I politici italiani non mostrano i limiti e i difetti che oggi tanti gli imputano da ieri o da avant’ieri, ma dalla caduta del fascismo. Addirittura i massimi danni, con la creazione dell’enorme debito pubblico, li hanno provocati di concerto i democristiani e i comunisti, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.
Questa costanza nell’insuccesso fa ragionevolmente pensare che o gli italiani non sono capaci di esprimere una classe politica migliore oppure che anche dei politici eccellenti non sono in grado di fare di meglio.
In ambedue i casi il programma di Beppe Grillo non serve. Perché se non si è in grado di esprimere una classe politica efficiente, la nuova non sarà migliore della vecchia. E se il difetto è nella nazione, è la nazione che bisognerebbe cambiare, ammesso che ciò sia possibile.
Ecco perché non si può che avere scarsissima fiducia nell’attuale tentativo di rinnovamento. Mancano le idee. Lamentarsi a trecentosessanta gradi non serve a niente. Né è un eroe chi si lamenta a voce più alta degli altri.
Sarebbe un genio chi riuscisse ad indicare una riforma – una! – che fosse veramente importante, per esempio quella della giustizia oppure quella del lavoro; che dicesse come attuarla, e con quali fondi, e infine che fosse capace di farsi seguire dal popolo italiano per realizzarla. Ma quale Ercole mai sarebbe in grado di fare una cosa del genere?
Siamo condannati dalla nostra stessa volontà a non cambiare niente di serio e non ha senso lamentarci come se la colpa fosse di qualcun altro.
Se qualche cambiamento serio non l’ha realizzato nemmeno un governo sostenuto da una maggioranza strabiliante e irripetibile, con al governo dei tecnici che certo non dovevano temere di essere mandati a casa, dal momento che erano comunque di passaggio, chi volete che ci riesca?
Uno come Pierluigi Bersani, talmente sfortunato da vincere alla Camera, mentre con duecentomila voti in più il cappio sarebbe stato intorno al collo di Berlusconi?