Renzi in gabbia tra sogno e realtà.

“Sputuni” (volgare lazzarone) avevamo definito Renzi, quando iniziò la sua scalata all’Italia e ne avevamo spiegato il significato: persona sfrontata, arrogante | guappo di cartone , persona che nasconde dietro l’arroganza e la sfrontatezza una reale debolezza 

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Il presidente del Consiglio ha impostato la sua comunicazione sulla favola della primavera che arriva dopo un inverno gelido. Ma ora a metterlo in crisi è il confronto con i fatti concreti.

Se fosse una storia, sarebbe quella dove c’è la primavera che arriva dopo un periodo di vento freddo e pioggia. Se fosse la vita vera invece, sarebbe uno che ha promesso rose e fiori e poi ci è rimasto in mezzo.

E’ questa la narrazione di Matteo Renzi e del suo renzusconismo.

Il risultato è semplice: il presidente del Consiglio (primo in comunicazione, primo in Twitter e primo in annunci) ha scelto dal giorno del suo insediamento di raccontare una favola (imbroglione) che ora però comincia a zoppicare. E la colpa è solo della realtà.

Nella storia che ci racconta Renzi c’è un solo protagonista: lui. Lui arriva, lui prende il potere perché proprio altro non poteva fare, lui e sempre lui, si prende sulle spalle la responsabilità dell’impresa.

Maria-Elena-BoschiAl suo fianco una sola dama protettrice dell’incanto: la maga Maria Elena Boschi. Poi, attorno a lui molti comprimari: da Guerini e Delrio, fino ai soldatini del calibro della Serracchiani e di Lotti.

Contro, naturalmente i “gufi”, vecchi, stantii, cattivi come il mostro prima di andare a letto. “Se ce la facciamo ha vinto l’Italia, se no ho perso io”, ha detto Renzi  a Natale 2014.

In questa frase c’è tutto un mondo spiegato: il leader Pd mentre si assume la responsabilità dice anche che la sua vittoria coincide con quella dell’Italia. In poche parole: lui sarebbe l’Italia.

Possiamo definire il nostro presidente del Consiglio come una“celebrità politica”. Abile a presentarsi come un personaggio dello star system, sa trasformare gli eventi politici in eventi mediatici. I suoi parlano su Corriere e Repubblica, ma anche su Vanity Fair e Oggi. Perché no?, pensa Renzi. Se non è pop parlare a nuovi elettori, che cos’altro lo è? La sua rivoluzione è quella di aver “rotto con la cultura tradizionale di gran parte della sinistra”. Un modo di comunicare più volte criticato come “provinciale o semplicemente berlusconiano”, ma che secondo noi è molto simile a quello utilizzato nelle altre democrazie europee. In testa Renzi ha il potere e il successo.

Quindi mentre fa credere di essere come Pollyanna che distribuisce gioia nella famiglia triste e cupa della zia arcigna, lui si crede di essere in realtà Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica”. Allenatore con la pancetta in un campo di periferia a cui in pochi credono e che ce la farà proprio perché vincere partendo come quello che è dato per sconfitto vale il doppio. Da vero leader ci pensa sempre, ogni qualvolta c’è da pensare. E così è Matteo Renzi, tutto in quell’immagine: il sognatore di scalate dell’Italia.

Però c’è stato un prima e un dopo nel bel racconto del presidente del Consiglio che tutto può. C’è stato un prima quando la favola per alcuni poteva anche avere un senso. Sono passate le settimane e i mesi e a tutte quelle belle parole corrispondevano sempre meno fatti. E lì il cantastorie ha cominciato a funzionare meno.

L’affievolirsi dell’efficacia della comunicazione renziana sta nel difficile rapporto tra narrazione e realtà”. C’è una divaricazione tra concretezza dei risultati e parole che comincia a farsi sentire: “Si rivela poco permeabile alla realtà”. Ma il vero problema è che Matteo Renzi sa di essere prigioniero della storia che ha costruito e sembra incapace di venire fuori da quella che ormai è una gabbia.

In questa lotta per tenere accesa una fiamma in balia dei venti, rientra il rapporto con l’informazione. Il presidente del Consiglio si fa le domande e si dà le risposte nelle sue conferenze stampa, che sembrano sketch piovuti dal teatro dell’impossibile. E nelle tante interviste ogni volta che compare la domanda sbagliata lui sposta il focus per tornare sulle frequenze della sua storia. “Poco è meglio che niente”, è la cantilena che si sente in sottofondo.

Lo dice lui, ma anche Maria Elena Boschi, che fedele va in televisione a proteggere il focolare. Così e solo soltanto così andavano fatte le cose, ripete come un mantra.

Forse all’inzio ha anche funzionato, ora, “la realtà impietosa è in agguato”.

 

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