Nelle segreterie politiche l’incubo inconfessabile è che quegli spazi ‘vuotì visti ieri nelle piazze a Roma per la chiusura della campagna elettorale si trasformino in astensione. I segnali non sono incoraggianti. Il trend è negativo e alle scorse politiche ha già vinto il partito del ‘non voto E l’impressione è che anche domani e dopodomani un bel pò di gente, sebbene il brutto tempo non inviti a scampagnate fuori città, decida di non andare ai seggi.
I partiti lo hanno capito e, complice l’incertezza dell’esito (ormai anche gli istituti demoscopici sono stati contagiati dal clima di confusione), hanno preso le distanze da questa tornata elettorale. «Il voto alle amministrative non avrà ripercussioni a livello nazionale», si affannano a spiegare sia a destra che a sinistra. E se al coro si unisce anche Beppe Grillo, che qualche persona in più rispetto ai partiti tradizionali è riuscita a portarla nelle varie piazze d’Italia, è segno che tira aria di ‘astensionismo alto.
Eppure a votare sono chiamati ben sette milioni di italiani. Guglielmo Epifani si trova a gestire la prima complessa partita da segretario del Pd: contenere la delusione di chi vede come fumo negli occhi l’accordo di Governo con Berlusconi, ma allo stesso tempo assicurare stabilità al governo Letta. Nessun effetto del voto alle amministrative sul governo – garantisce – «anche perchè è un voto che riguarda l’8% degli italiani».
Nel Pdl il garante principale della tenuta del governo è Berlusconi. L’ex premier è granitico: «Noi sosteniamo e sosterremo con lealtà il governo», dice. Beppe Grillo, invece, gioca di rimessa. I sondaggi vedono il M5S in leggera ascesa ma il leader ‘cinque stellè è cosciente che non ci sarà l’exploit di febbraio. Lui stesso ammette che «forse a Roma il Movimento non vincerà » e fa la sua partita da attendista puntando tutto su un eventuale voto politico in autunno.
Le urne deserte, infatti, rischiano di trasformarsi in una sorta di referendum sulle ‘larghe intesè Pd-Pdl-Sc che hanno dato vita al governo di coalizione guidato da Enrico Letta. I dirigenti di partito sono consapevoli che un calo di fiducia nei confronti dell’esecutivo sia fisiologico, qualunque sia il governo in carica. Ma temono che si inneschi quel circuito vizioso che, soltanto pochi mesi fa, ha visto crollare la popolarità di Mario Monti: in pochi mesi il gradimento dell’ex premier è calato e la sua Lista Civica alla prova del voto politico è andata ben al di sotto delle previsioni.
La scommessa Letta-Alfano è anche questa: riconquistare la fiducia della gente nei confronti di politica e partiti, e porre un freno all’emorragia di delusi. Qualche risultato sperano di ottenerlo anche grazie ai primi provvedimenti varati come quello sul blocco dell’Imu e la promessa dello stop al finanziamento. Chissà se potrà bastare.
Ovviamente, se l’astensione dovesse salire molto i partiti imporranno di mettere mano all’agenda di governo. Nè il Pd, nè il Pdl sono disposti a pagare un prezzo troppo alto per questa alleanza forzata di governo. Devono evitare che gli elettori non votino e, magari, cerchino poi rifugio nel M5S che ogni giorno attacca ‘il sistema. Per Beppe Grillo il riscontro della piazza è stato migliore in termini numerici rispetto a quello di Pd e Pdl ma comunque non paragonabile con le folle dello ‘tsunami tour’ (anche per l’immagine non positiva dei primi mesi dei ‘cinque stellè in Parlamento alle prese con scontrini e liste giornalisti). Per il M5S, perciò, l’obiettivo è cercare la riconferma.