«Calma e gesso», cosi spegne le dichiarazioni bellicistiche di molti suoi ministri, il premier Renzi e mentre l’Egitto prende l’iniziativa di bombardare alcune bai dell’Isis in Libia, si ricorda che già a luglio il governo libico aveva chiesto l’intervento del mediatore Prodi, quando ancora l’Isis non aveva preso il controllo di Tripoli. Oggi la situazione si fa più pesante e le minacce all’Italia si fanno sempre più pregnanti.
Renzi ha fatto sapere che in Libia c’è bisogno di responsabilità e non di fughe in avanti. La priorità è raddoppiare gli sforzi Onu nella iniziativa politica e diplomatica e su questo stesso terreno, non quello militare, l’Italia è pronta ad assumersi le sue responsabilità.
Naturalmente il capo del governo non fa totalmente macchina indietro (ma quasi), e spiega che «priorità non significa fretta, ma kairos, momento opportuno, per costruire a livello diplomatico condizioni minime di vivibilità».
In definitiva, dopo aver assecondato l’ardore interventista di alcuni suoi ministri, Renzi ha capito che la cosa lo avrebbe portato su due binari morti: la rinascita su una linea bellicista del patto del Nazareno; la rottura col vasto mondo pacifista. E a quel punto Renzi ha preferito adottare la “dottrina Prodi” che nelle ultime ore è tornato in prima linea con alcune esternazioni molto chiare.
«No alla guerra», aveva detto il Professore, perché prima va esperito «ogni tentativo di dialogo». E ancora: «Nulla si può fare senza l’Onu, ma l’Onu ha poche armi», eppure «in questo caso siamo nella situazione ideale per l’intervento delle Nazioni Unite, perché tutte le grandi potenze hanno paura dell’Isis». Prodi conosce molto bene il “campo” e Renzi lo sa. Nella estate del 2014, il primo ministro libico e il leader di gran parte delle tribù locali scrissero due lettere riservate a Matteo Renzi nelle quali auspicavano con toni accorati la chiamata di Prodi, indicato come la personalità più adatta a fare da mediatore, per l’autorevolezza e la conoscenza delle parti in causa. Quell’appello, lanciato quando ancora l’Isis non era penetrato in Libia, era stato lasciato cadere da Renzi e Prodi, interrogato sulla questione, ieri ha risposto così: «Non so perché sulla richiesta del governo libico di essere io il mediatore con la comunità internazionale, non sia stato effettivamente coinvolto» ma «io sono sempre stato a disposizione del mio Paese e della pace».
Ancora ieri alcune delle fazioni in lotta in Libia hanno chiesto a Prodi le ragioni dell’incertezza dell’Italia a coinvolgerlo in una mediazione che ovviamente è diventata molto più complicata di quanto lo fosse sette mesi fa.
Ora, nell’Italia delle Mosse, Renzi sa di doversi gestire la partita libica su due fronti, interno e diplomatico. Il premier sa che la contro-svolta di ieri di Berlusconi, il suo ponte verso un “Nazareno-2” in queste ore ovviamente trova d’accordissimo tutta l’ala dialogante di Forza Italia (Verdini, Romano, Gelmini, Carfagna) ma sa altrettanto bene che nella mossa berlusconiana c’è anche una scommessa politica: l’apertura di una frattura dentro la sinistra, che da decenni si dilania sull’asse guerra-pace. I primi segnali di una contestazione da sinistra, Renzi li ha già visti ieri, con dichiarazioni di Pippo Civati, di Sel, del Cinque Stelle. E prima che gli infilassero l’elmetto, Renzi ha virato rapidamente. E oggi, davanti alla direzione del Pd si attesterà su una posizione di interventismo ma dentro le regole internazionali.