Enrico Letta è bravo e competente, è giovane ma ha grande esperienza partitica, politica e istituzionale.
Ha studiato da premier e ha costruito intorno a sé un bel network di persone di qualità e opinion maker che lo sostengono e gli danno idee. Quando si è insediato è sembrato ai più il meglio che l’Italia in questo momento potesse offrire. E il governo Pd-Pdl (con la ruota di scorta di Monti e Casini) l’unica maggioranza possibile.
I suoi primi movimenti ci sembrano improntati a prudenza, saggezza, equilibrio, capacità di mediazione, ma anche concretezza ed efficacia (alle difficilissime condizioni date, politiche ed economiche), che fanno di lui una sorta di grand commis alla francese, come avrebbe dovuto essere Mario Monti, tradito però dal suo narcisismo e dalla sua rozzezza politica e sociale.
Letta è cioè un tecnico politico (o un politico tecnico), discepolo di Andreatta e del meglio della tradizione Dc. Con tessera del Pd, un piccolo miracolo.
Noi crediamo che durerà. E tanto. Perché non si intravvedono all’orizzonte persone e formule alternative a lui e al governo di larghe intese che ha messo insieme sotto la spinta di Napolitano.
Certo, le fibrillazioni non mancano. Ma sono spesso di tipo giornalistico: i giornali vanno riempiti, il retroscenismo è piaga dilagante sui vecchi cartacei. E il Palazzo riverbera e dilata, da mane a sera in tv, nella sua autoreferenzialità da talk show, dando la sensazione di essere sempre sull’orlo della crisi.
Roba appunto da talk show, marketing partitico di questa sempiterna campagna elettorale (ora partiti e candidati stanno brigando già per le europee dell’anno prossimo).
Ma la situazione internazionale non consente guizzi solitari e fughe in avanti destabilizzanti. Vince la forza delle cose, che raccomanda coesione e concretezza, pazienza e temperanza.
Letta continua, dunque. E se proprio non ci piace turiamoci il naso.
Questo il quadro rassicurante che mostra la casta politica, insensibile alle vicissitudini del Paese, in preda alla disoccupazione e alla mancanza di lavoro, con un quadro di incertezza reale e senza prospettive. Un governo che prende tempo, che gioca al rinvio, per gestire non la situazione catastrofica del Paese bensì l’equilibrio instabile dei partiti, che cercano di salvare sè stessi da uno tsunami rivoluzionario (non alla Grillo) , che da un giorno all’altro potrebbe travolgere tutto e tutti.
Non serve certamente un Governo scolaretto, che fa i compiti a casa da presentare a Maestra Europa, per ricevere i complimenti di donna Merkel e alzare il ditino timidamente per chiedere alla fine se possiamo andare in bagno a fare pipì. Due mesi per partorire un topolino (Decreto del fare nulla e del rinvio) in attesa di chissà quale manna dal cielo, mentre i mercati (gatto) sono in attesa di fare un sol boccone di una Italia in mano a nessuno, senza guida e senza nerbo; i cittadini sono in lotta continua per la sopravvivenza, mentre i partiti continuano a parlare di se stessi, di come salvare Berlusconi dai suoi processi, a minacciare crisi di governo un giorno sì e un giorno sempre. Ai cittadini non interessa se Berlusconi se la fà franca o no, se cade il governo o no, se Letta continua o meno: ai cittadini interessa come sbarcare il lunario, se domani saranno in grado di portare un tozzo di pane a casa oppure pensare al suicidio, dato che nulla si muove sotto il cielo.
Gli errori di una classe dirigente imbelle e parolaia non possono sempre gravare sui popoli; un giorno questi potrebbero svegliarsi dal loro torpore, provocato dai sedativi mediatici di un sistema autoreferenziale e basta, e allora saranno cazzi amari. Se la prospettiva è una crisi infinita e senza speranza, si aprirà una stagione di rivolte, che difficilmente si potranno placare con governi pagliacci.