Si fa fatica ad esaminare le ultime tornate elettorali e realizzare un’ analisi del voto, quanto meno realistica, risulta un esercizio difficile e quanto meno arduo. Intanto il gioco non è più quello di vedere chi vince o chi perde, ma di interpretare l’astensionismo, che è il vero vincitore di questi ultimi giri di voto, ma i politologi del reparto frenatori dicono: niente paura e parlano di fenomeno fisiologico, come se fosse una botta di cattivo umore collettivo e non il segno di un disgusto sempre più profondo. E perché mai non dovrebbe essere così?
Le larghe intese non c’entrano nulla, la catastrofe Pdl è la fotografia di un partito padronale che quando il padrone non scende in campo è costretto a schierare vecchi catorci o giovani nullità e i risultati si vedono.
La destra perde a Brescia a furor di popolo, tracolla a Imperia dove l’ex potente Scajola è finito in un buco nero e crolla a Treviso dove quel Gentilire che voleva sparare agli immigrati è finito impallinato lui.
Poi c’è Alemanno, il peggior sindaco che si ricordi, con la Capitale ridotta a una discarica attraversata da bande di raccomandati e grassatori.
Le larghe intese non c’entrano nulla, il 16 a 0 del centrosinistra è frutto di candidature mediamente decenti che al confronto con gli impresentabili dell’altra sponda fanno per forza un figurone. Poi c’è Ignazio Marino, marziano a Roma, come Pisapia a Milano o De Magistris a Napoli o Zedda a Cagliari, che ha fatto la sua campagna elettorale prendendo le distanze dal PD, per non essere accostato troppo ad un partito, che una ne fà e due ne sbaglia. Chirurgo di fama, dovrà amministrare una città con immensi problemi dove per la prima volta nella storia repubblicana ha votato meno della metà degli elettori.
Questo è il ritratto di un Paese, massacrato dalla crisi e imbrogliato dalle false promesse, che fugge velocemente dalla politica. C’è un nesso strettissimo tra le casse vuote e le urne vuote.
L’Italia amava votare. Adesso non è più così. Mentre il progressivo calo del Pil è il segnale di un declino industriale forse irreversibile, il governo galleggia nell’ incertezza, convalidata dai segnali del Quirinale che un giorno sì e l’altro pure fissano un termine all’ esperienza del giovane Letta. Una politica degli annunci che si sposa a quella del rinvio, mentre lo Stato ha già speso i soldi destinati a tutto il 2013. In queste condizioni, votare non è dunque un atto eroico?
La gente perde il lavoro, non vede risposte, e non vede motivo per andare al voto.No lavoro No voto. La credibilità della classe politica è sotto i tacchi e fra qualche mese la rivolta sociale monterà a tal punto, che sarà difficile frenarla o bloccarla. Ecco perchè dobbiamo prendere atto del perchè, anche fra i vincitori di turno, non ride più nessuno: i problemi sono tanti e i soldi non ci sono.