Renzi da Re Giorgio dopo le dichiarazioni di Berlusconi sulle riforme

renzi berlusconiMatteo Renzi,  per sbrogliare l’ingarbugliata matassa delle riforme, finite sotto i veti incrociati e i venti della campagna elettorale, chiede aiuto a Re Giorgio. Da un lato si cerca di  ricucire “con pazienza” l’intesa con Silvio Berlusconi, dall’altro per individuare piccole modifiche al testo base del governo sulla riforma del Senato, ferma restando l’architrave, che consentano di ricompattare il Pd ed isolare i pasdaran come Vannino Chiti.

Il Capo dello Stato vuole capire come rilanciare il cammino al netto dei toni da campagna elettorale. Renzi, però, non mette in conto, almeno ufficialmente, una moratoria del capitolo riforme in campagna elettorale, uno slittamento che consentirebbe di riprendere in mano il dossier dopo le elezioni. Per questo, al netto delle oscillazioni di Forza Italia, il primo obiettivo del presidente del Consiglio è mettere in sicurezza il Senato delle Autonomie dentro il Pd.

Con una fitta rete di incontri a partire da lunedì, quando Renzi vedrà sia Finocchiaro sia Luigi Zanda per poi affrontare personalmente i senatori e capire se ci può essere una mediazione in vista della presentazione mercoledì del testo base in commissione. “C’è chi vuole solo visibilità ma dialoghiamo per capire se alcune proposte possano essere accolte senza stravolgere la riforma”, è la linea che il premier dà ai suoi. Se, quindi, è considerato irricevibile il ddl Chiti, un punto di caduta, che viene incontro sia alla minoranza sia a Ncd, potrebbe essere la proposta del lettiano Francesco Russo che chiede di individuare i futuri senatori contestualmente ai consiglieri regionali all’interno dei consigli regionali. In parallelo si lavora su Forza Italia.

NapolitanoE la strategia del governo unisce la minaccia alla mano tesa. “Sulle riforme possiamo andare avanti da soli, sta a Berlusconi decidere”, è un’ipotesi anche se Renzi vorrebbe tenere fede all’impegno di non fare riforme a maggioranza. Più che una minaccia, è invece una soluzione, sia per risolvere le divisioni interne sia in chiave esterna, quella indicata da alcuni renziani di far calare il sipario e andare alle elezioni. “Noi siamo pronti e non abbiamo paura“, sostiene il vicesegretario Pd Debora Serracchiani, ipotizzando le urne con l’Italicum. Ma il voto anticipato, alla vigilia della presidenza italiana del semestre, non è nell’orizzonte del Quirinale. E, per ora, neppure di Matteo Renzi determinato a dimostrare che lui tenterà fino in fondo di portare a casa le riforme.

Boschi, avanti anche senza FI
L’auspicio è che il tavolo del Nazareno non salti ma il governo sulle riforme andrà avanti, anche senza Forza Italia. A 24 ore dall’affondo di Silvio Berlusconi, è il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, a rispondere a muso duro al leader di FI. Con parole che traducono il pensiero di tutto l’esecutivo e di buona parte del Pd, alla vigilia del rush finale per l’approvazione del testo base in commissione al Senato, prevista entro mercoledì.

Un testo di cui oggi il premier Matteo Renzi parlerà con Giorgio Napolitano, preoccupato della tensione emersa in queste ultime ore. Ma l’affondo del Cavaliere, per il governo e per il Pd, è soprattutto figlio del suo ingresso nella campagna per le europee. A ribadirlo ieri sono, in una vera e propria offensiva mediatica che risponde allo ‘show’ di Berlusconi, sia Boschi, sia i ‘big’ del Pd, a partire dalla vicesegretario Debora Serracchiani. “Noi non temiamo eventuali elezioni, siamo pronti ma mi chiedo a chi conviene andare a votare con un sistema, l’Italicum, che potrebbe rimescolare le carte”, attacca Serracchiani, facendo capire agli azzurri che ad aver paura del ritorno alle urne non deve essere certo il Pd. E, forse anche per questo, il governo avverte l’ex premier: su riforma del Senato e Italicum l’impegno, anche di fronte agli italiani, è ottenere un testo più condiviso possibile ma se lo strappo dell’accordo del Nazareno dovesse concretizzarsi i numeri per proseguire non mancheranno. Anche perché, puntualizza Boschi, il dissenso all’interno del Pd – simboleggiato dal ddl alternativo di Vannino Chiti – è “molto limitato” e ricucibile: “il blocco centrale” della riforma “è ampiamente condiviso”. E a dare un’ulteriore sponda a Matteo Renzi è il suo alleato di governo Angelino Alfano, che assicura come, anche senza FI, i numeri ci siano e Ncd non si tirerà indietro. L’impressione, tuttavia, è che la tensione non si allenterà da qui fino al 25 maggio. Con FI che oggi rientra solo parzialmente dall’affondo di ieri del suo leader.

“Nessuno osi pensare che Forza Italia non rispetta i patti. Chi non li ha rispettati fino ad oggi è il Pd”, è la replica di Giovanni Toti. I toni, insomma, restano alti, con una Commissione Affari Costituzionali chiamata ad approvare un testo base entro mercoledì ma ancora segnata dalle divisioni e con il M5S che si conferma pronto a votare il ddl Chiti. Le proposte in ballo in prima commissione sono 51 più quella del governo con la stragrande maggioranza che, in modi diversi, prevede un Senato elettivo, elemento sul quale Renzi non vuole arretrare. Ma un punto di equilibrio andrà trovato: di questo il premier parlerà domani con il Capo dello Stato, e, martedì nella riunione con i senatori Pd. Al di là dell’ombra delle Europee la gestazione di un testo condiviso resta quindi in salita. E forse anche per questo Boschi frena sulla data X indicata da Renzi per l’approvazione in prima lettura in Aula: il 25 maggio? “Con una o due settimane in più non sarà un dramma”.berlusconi f.i.

Intanto Berlusconi ribadisce che le riforme non sono del signor Renzi ma di Forza Italia, che lr chiede da venti anni. “Le riforme che arrivano non sono le riforme del signor Renzi ma le nostre riforme”. ha detto Silvio Berlusconi che, alla presentazione della lista di Fi alle europee a Milano, ha rivendicato che ”se c’è qualcuno che da vent’anni chiede e vuole fare le riforme, questo si chiama Forza Italia, si chiama Silvio Berlusconi

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