Italia a perdere e il futuro che non c’è.

Italia a perdere e il futuro che non c’è. La svendita del Paese. 

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E mentre si fa finta di combattere l’isis il governo svende un altro pezzo di sovranità nazionale. Dopo poste si avvia la privatizzazione di FS e per rendere la pillola meno amara il ministro Delrio parla che non si andrà oltre il 40 % e che la società resterà pubblica. L’operazione si è resa necessaria, – ha detto il ministro – per rendere più efficiente i servizi a mercato.

Balle. Ci avviamo verso il suicidio economico nazionale e ancora ci prendono per i fondelli: dietro le privatizzazioni in Italia c’è il saccheggio dell’economia nazionale e finiti i gioielli di famiglia ci ritroveremo con le pive nel sacco.

italia vendesiI vari governi italiani  dal 1992 in poi sono  stati messi alle corde dagli speculatori euro-americani (e dai loro complici italiani) aumentando la pressione per privatizzare a prezzi di svendita. Su questa strada, iniziata nel lontano 1992 col governo Amato e proseguita col governo Ciampi e poi col primo governo Berlusconi, seguito da Prodi e D’Alema e poi il secondo governo Berlusconi, e poi di nuovo Prodi , Berlusconi, Monti, Letta e buon ultimo Renzi, curatore fallimentare, nominato da Napolitano, che sta dando il colpo finale al suicidio economico italiano.

Le ricette, al di là degli uomini che stanno al governo, sono sempre le stesse. Si prende una azienda di Stato decotta, a causa della corruzione imperante, e si affida la parte buona e produttiva ( good company) a quattro amici privati e si scaricano i debiti su una bad company che rimane allo Stato (cioè alla collettività nazionale: il salvataggio di Alitalia è emblematico per descrivere il modello di distruzione di massa del sistema produttivo italiano, che è costato lacrime e sangue ai nostri padri e costerà lacrime e sangue ai nostri nipoti: alla fine della storia Alitalia dopo appena quattro anni è finita in mano agli arabi e a Noi sono rimasti i debiti. Ieri hanno privatizzato Poste, oggi parlano di Ferrovie e cosi facendo finiremo col distruggere tutto il sistema produttivo italiano (anche strategico per un Paese che si vuole considerare tale)

BCE euro int1Ai tempi della lira sarebbe bastato adottare una politica creditizia nazionale per trovare una via d’uscita al crak economico fianziario, ma con l’incaprettamento subito dall’euro diventa quasi impossibile trovare una linea di fuga dal finanzismo imperante.

Occorrerebbe ripristinare il controllo sui cambi, congelare una parte del debito con una moratoria di 10-15 anni (salvaguardando naturalmente gli interessi dei piccoli risparmiatori), parallelamente all’avvio di una aggressiva politica di investimenti, favorita da crediti agevolati, nelle infrastrutture moderne, in concerto con i partners europei.

Per far ciò, occorre che lo stato si riappropri della piena sovranità monetaria, il che significa che per finanziare gli investimenti esso non dovrebbe bussare alla porta della BCE, la quale ha finora battuto moneta a nome degli stati, per poi rivendergliela agli stessi a tassi “di mercato”, cioè da usura.(Grecia insegna)

Ora noi ci domandiamo “ dove risiede la ricchezza di un Paese? “

La ricchezza di un Paese si basa sull’economia produttiva, ovvero sulla capacità di quel Paese di produrre beni e servizi e di generare una buona domanda per gli stessi, sia al proprio interno che, soprattutto, all’estero.

La strategia di produzione più efficace e popolare al giorno d’oggi prende il nome di personalizzazione di massa e si prefigge l’obiettivo di soddisfare i bisogni individuali dei clienti preservando contemporaneamente i vantaggi della produzione di massa, ovvero bassi costi di produzione e prezzi di vendita contenuti.

Ne consegue che il successo di tale strategia e quindi quello dello stesso Paese dipenda dall’esistenza di un’ampia domanda di ogni genere di prodotti e servizi e questo è possibile solo se la ricchezza interna del Paese è distribuita in modo sufficientemente uniforme.

In un Paese in cui la maggior parte della ricchezza è in mano a una piccola percentuale della popolazione, la capacità di acquisto da parte del resto della popolazione è seriamente compromessa. Infatti, sebbene i più ricchi possono spendere una notevole quantità di denaro soprattutto in beni di lusso, questi rappresentano solo una piccola parte dell’economia produttiva e quindi la maggior parte dei beni e dei servizi sono penalizzati a scapito della ricchezza dell’intero Paese. 

povertàIn pratica, un Paese nel quale la ricchezza è mal distribuita è anche un Paese che tende a impoverirsi e a indebolirsi sempre di più nei confronti degli altri Paesi. Viceversa, un Paese nel quale ogni abitante abbia un certo livello di qualità di vita, si ha un livello adeguato di consumo capace di sostenere la crescita di ogni settore dell’economia produttiva.

Ne consegue che la tendenza che si sta diffondendo nei Paesi occidentali di penalizzare sempre di più le fasce più deboli della popolazione a vantaggio di una cerchia sempre più ristretta di persone, invece di sostenere un livello ragionevole di consumismo e quindi di fatto la visione capitalista della società, ne mina le basi, creando i presupposti del crollo dell’economia produttiva di quel Paese.

È quello che stiamo vedendo anche in Italia con il crollo dei consumi in tutti i settori, perfino alimentare. E dove comunque la ricchezza che si accumula in mano a pochi smette di circolare e quindi di produrre altra ricchezza.

>>>ANSA/POVERTA': OTTO MILIONI DI POVERI IN ITALIA, 3 MILIONI INDIGENTIPer concludere, una migliore e più ampia distribuzione della ricchezza in un Paese non è solo eticamente auspicabile ma rappresenta le fondamenta di un’economia produttiva sana e quindi è il presupposto essenziale per la crescita del Paese. L’alternativa è il caos e la guerra civile.

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